Stazione 1
Inizio
Walther, chi era costui?
Nel Medioevo, Walther von der Vogelweide era una star, un Minnesänger e un bardo politico, le cui canzoni e poesie destarono una vasta eco nel Sacro Romano Impero. Ciò nonostante, sappiamo poco di lui, perché mancano quasi completamente attestazioni storiche sulla sua esistenza. Ciò che è risaputo sul grande menestrello medievale, in realtà, è ricavato dalle sue poesie, messe a confronto con i fatti storici. I più cinici affermano che la vita di Walther possiamo solo immaginarcela.
Su una cosa le ricerche concordano, ovvero sull’anno di nascita, il 1170. Della sua gioventù sappiamo poco o nulla, poiché Walther comincerà a calcare le scene pubbliche solo dopo il 1190, una volta giunto a Klosterneuburg, nei pressi di Vienna, alla corte del duca Federico I di Babenberg. Walther diventa allievo del cantore di corte Reinmar il Vecchio e, in breve tempo, anche il rivale più acerrimo del suo stesso maestro: proprio tale rivalità e la morte del suo mecenate Federico I lo costringono a lasciare la corte dei Babenberg, di cui a posteriori non parlerà in termini propriamente lusinghieri:
Dêswâr ich gewinne ouch lîhte knollen: sît si die schalkheit wellen, ich gemache in vollen kragen. ze Ôsterrîche lernt ich singen unde sagen: dâ wil ich mich allerêrst beklagen.
Ma in realtà, anche a me la rabbia sale facilmente; poichè vogliono cattiveria, li riempirò sino all’inverosimile di malignità. In Austria, ho studiato musica e poesia e lì voglio innanzitutto lamentarmi.
Walther lascia Klosterneuberg in malo modo, mettendosi al servizio di Filippo di Svevia: quest’ultimo è il pretendente al trono reale sulla linea degli Staufer, ovvero una delle due persone che possono aspirare alla corona. Walther scriverà, non senza tradire una punta d’orgoglio: “Sono stato attirato dal regno e dalla corona”.
E a ragione: Filippo non ha bisogno tanto di un cantore di corte, quanto di un propagandista politico nella lotta per il trono contro il suo oppositore Ottone della fazione guelfa. Il giovane menestrello diviene così un poeta che recita in versi e un propagandista politico molto ambito, e in questa veste, come accade agli artisti di oggi, è sempre in viaggio. Ciò che lo spinge a percorrere in lungo e in largo il Sacro Romano Impero è la ricerca di nuovi ingaggi. Già intorno al 1200, è ospite di Leopoldo VI a Vienna, ma spesso è impegnato anche alle corti di Ermanno I Langravio di Turingia, di Enrico duca di Mödling e di Teodorico di Meissen.
Tuttavia, nella scelta del suo mecenate, Walther dimostra di essere tutt’altro che schizzinoso. E così, dopo l’assassinio di Filippo di Svevia nel 1208, colui che era stato il suo propagandista offre i propri servizi a Ottone IV, imperatore di fazione guelfa. A (e su) di lui, Walther scrive:
Hêr keiser, sît ir willekomen. der küneges name ist iu benomen: des schînet iuwer krône ob allen krônen.
Signor imperatore, siete il benvenuto! Il titolo reale è stato da voi ottenuto e la vostra corona risplende su tutte le corone.
Ma pur descrivendo Ottone in questo modo, neppure lo scintillio della corona gli fa ottenere ciò che cerca, ovvero un feudo. Così si propone a Federico II di Hohenstaufen, il quale finalmente esaudisce il suo desiderio.
Ich hân mîn lêhen, al die werlt, ich hân mîn lêhen.
Ho il mio feudo, dico a voi, ho il mio feudo!
Il cantore può godersi il suo feudo presumibilmente per un intero decennio, anche se non è dato sapere con certezza in cosa consistesse. In ogni caso, Walther conosce gli obblighi che ne derivano e, nella sua ultima opera, incita a prendere parte alla crociata di Federico II in Terrasanta, con le idee ben chiare su chi stia dalla parte della ragione.
Kristen juden unde heiden jehent daz diz ir erbe sî: got müez ez ze rehte scheiden durch die sîne namen drî. al diu welt diu strîtet her: wir sîn an der rehten ger: reht ist daz er uns gewer.
Cristiani, ebrei e pagani sostengono che questa sia la terra ereditata dai loro padri. Che Dio decida equamente, in virtù della sua Trinità. Tutto il mondo vi avanza pretese. La nostra rivendicazione è legittima; quindi è giusto che accolga le nostre preghiere.
Presumibilmente, Walther non assiste alla fine di tale crociata, dal momento che muore intorno al 1230. Dove? Anche questo dato non è conosciuto, ma alcuni elementi fanno pensare alla città di Würzburg. E così, il ritratto di Walther si conclude con la costante di tutta la sua biografia: un punto di domanda.
Stazione 2
Formazione
Gli agostiniani forgiatori di maestri?
Nieman kan mit gerten kindes zuht beherten: den man zêren bringen mac, dem ist ein wort als ein slac.
Nessuno può educare i figli con il bastone. Per chi dev’essere allevato a diventare un uomo d’onore, una parola colpisce quanto una percossa.
Nonostante questi consigli educativi, come molti aspetti della vita di Walther, anche la sua infanzia e la sua giovinezza sono avvolte dal mistero e, sulla sua passione per la vita da cantore, così come sulla sua formazione, è possibile fare solo speculazioni.
Supponendo che Walther sia cresciuto a Novale, appare quasi scontato che la sua formazione abbia avuto luogo nel convento agostiniano di Novacella. Quest’idea si adatterebbe perfettamente all’immagine del monastero, dalla storia ancora recente all’epoca in cui nacque Walther, dove la formazione di giovani canonici veniva promossa soprattutto in ambito musicale.
Eppure, la vicinanza geografica a Laion non è l’unico punto fermo cui si appigliano i ricercatori: anche le persone che vi hanno agito rientrano in questo quadro: Corrado di Rodank, ad esempio, che durante gli anni giovanili di Walther aveva ricoperto la carica di prevosto del monastero di Novacella e in seguito era divenuto uno dei più eminenti vescovi di Bressanone, era un riconosciuto mecenate di musicisti e poeti. La formazione a Novacella, poi, spiegherebbe più facilmente anche l’accoglienza riservata a Walther dalla corte dei Babenberg a Klosterneuburg, nei pressi di Vienna, nonostante gli stretti rapporti che collegavano Novacella a quest’ultima. Infine, era stato proprio il vescovo di Bressanone Hartmann, all’epoca prevosto di Klosterneuburg, a propugnare la fondazione del monastero.
La corte di Vienna è un obiettivo cui Walther deve ancora dimostrarsi all’altezza.
Daz ist der wünneclîche hof ze Wiene: in hirme niemer unz ich den verdiene, sît er sô maneger tugende mit stæter triuwe pflac.
Questa è la magnifica corte di Vienna. Non mi darò pace sino a che non meriterò il suo valore, poiché ha conservato fedelmente e costantemente così tante virtù.
Walther, all’epoca ancora senza un passato, sa bene che l’accoglienza alla Corte di Vienna e gli studi poetici presso Reinmar il Vecchio sono dei veri e propri privilegi e il fatto di poterne goderne è il risultato del supporto spirituale e di una rete che non include solo i monasteri, bensì anche le corti più influenti.
Stazione 3
Il Minne
Amor cortese e amore, dama e fanciulla
Minne ist minne, tuot sie wol; tuot sie wê, sô enheizet sie niht rehte minne. sus enweiz ich, wie si denne heizen soll.
Amore è amore quando dà gioia; se dà dolore, allora lo si chiama ingiustamente amore. Non saprei come chiamarlo altrimenti.
Il concetto di “Minne” (amor cortese, ndt), derivante dall’alto tedesco medio, definisce la venerazione di una nobildonna. Il Minnesang o canto d’amore cortese del 12° e 13° secolo è una forma ritualizzata di tale venerazione, che rendeva il Minnersänger o menestrello un professionista di questa materia, una sorta d’intrattenitore, che poneva le cortigiane al centro delle sue declamazioni.
In origine, il Minnesang non era materia per professionisti, ma parte del corteggiamento di un cavaliere per conquistare il cuore della sua dama. Se per mettere alla prova le sue abilità fisiche si cimentava in battute di caccia e tornei, il cavaliere, con la declamazione di rime d’amore, sfoggiava anche il suo spirito istruito e, pertanto, culturalmente degno della nobildonna.
Walther von der Vogelweide, uno dei più significativi menestrelli dell’Alto Medioevo tedesco, è un maestro nel Minnesang classico ovvero della venerazione unilaterale della cortigiana, il cui movente non è l’amore o un sentimento di affetto, bensì, molto più semplicemente, l’incarico ottenuto dal suo signore. Walther, così, gira per le corti dell’Impero tedesco guadagnandosi il pane come bardo professionista.
Sebbene sia lontano dall’essere l’unico della sua epoca, Walther resta comunque il migliore o, almeno, questo è ciò che afferma Gottfried von Straßburg nel suo “Tristano”: per lui non ci sono dubbi, tra i menestrelli, Walther, “l’usignolo del pascolo degli uccelli” (von der Vogelweide, in tedesco), è il numero uno, il leader indiscusso della categoria:
Ich wæne, ich si wol vinde, diu die baniere vüeren sol: ir meisterinne kan ez wol, diu von der Vogelweide. hî wie diu über heide mit hôher stimme schellet! waz wunders si stellet! wie spæhes organieret! wies ir sanc wandelieret.
Credo di sapere già chi debba portare la bandiera. La vostra signora può farlo, quella del pascolo d’uccelli. Come risuona la sua voce sopra la brughiera! Quali miracoli compie! Con quale maestria suona! Come sa variare il suo canto!
Walther, dunque, viene considerato il maggior esponente del Minnesang classico. Ma è proprio lui a rompere le regole di questo genere. È il primo a cantare dell’uguaglianza in amore. “L’amore”, si legge in una delle sue liriche, “è privo di significato se unilaterale. Deve essere condiviso, al punto da passare attraverso due cuori”.
La società cortese deve essersi abituata a questo nuovo tono, con il quale il menestrello non celebra soltanto le cortigiane ma anche semplici fanciulle, conquistando le loro simpatie. Mentre le nobildonne si muovono pudicamente attraverso le rime delle sue canzoni “abbigliate in modo elegante e a capo coperto”, tutt’altre descrizioni sono riservate alle popolane:
Wes er mit mir pflaege, niemer niemen bevinde daz, wan er unt ich, und ein kleinez vogellin: tandaradei, daz mac wol verswigen sin
Ciò che mi ha fatto, non dovrà saperlo nessuno al di fuori di lui e io e un uccelletto, tandaradei, il quale, si spera, non aprirà il becco.
La venerazione cortese cede il passo a qualcosa di più concreto e ambiguo: tandaradei.
Stazione 4
Provenienza
Von der Vogelweide: che razza di nome per un “usignolo”!
Sono pochi, anzi pochissimi, i documenti relativi a Walther von der Vogelweide. Per essere precisi, al di fuori delle sue liriche, viene menzionato ufficialmente solo una volta, ovvero nel periodo in cui non solo cantava per Filippo di Svevia, ma aveva anche preso le sue parti con una certa veemenza. Il vescovo Wolfger di Passau, all’epoca molto attivo al fianco di Filippo, il 12 novembre 1203 scriveva:
Walthero cantori de vogelweide pro pellicio V solidos longos
A Walther, il menestrello von der Vogelweide, cinque scellini per un mantello di pelliccia.
Questa menzione è interessante per due ragioni: innanzitutto perché dimostra come Walther godesse di una certa considerazione sociale, come si evince dall’importo riconosciutogli, pari a quello percepito dai collaboratori più intimi del vescovo. Insieme a questi ultimi, viene chiaramente collocato a un livello in cui il mantello di pelliccia è sinonimo di riconoscimento e compenso al tempo stesso.
Oltre al dettaglio finanziario, il documento cela poi un’altra indicazione: Walther viene denominato sulla base della sua origine “de vogelweide”, von der Vogelweide. Ma è davvero ad essa che il nome si riferisce?
A questa domanda, si deve dare inizialmente risposta negativa. Un’indicazione univoca dell’origine si rifà, di norma, a un luogo o a una corte. Un “Walther di Novale” avrebbe risparmiato un bel po’ di lavoro ai ricercatori. All’epoca di Walther, erano innumerevoli i Vogelweiden e, in più di un caso, la denominazione non rimanda alla loro origine: “von der Vogelweide”, stando alla teoria, sarebbe semplicemente un nome d’arte. Altri plausibili luoghi d’origine di Walther sarebbero individuabili a Waldviertel, in Bassa Austria, a Dux in Boemia, in Franconia, in Turgovia, a Würzburg, a Francoforte, a Feuchtwangen e a Novale. Luoghi con o senza Vogelweiden.
A confutare l’ipotesi che si tratti di un nome d’arte, invece, vi sarebbero alcune fondate supposizioni, per cui l’indicazione “von der Vogelweide”, all’epoca di Walther, può essere intesa in termini geografici: a Laion e dintorni, infatti, sorgevano estesi pascoli d’uccelli. Lo stesso toponimo tedesco Waidbruck (Ponte Gardena) fa riferimento ad aree di pascolo e di caccia. I pascoli d’uccelli di Laion non erano certo sperduti o nascosti chissà dove, ma si estendevano in una posizione di tutto rispetto, ovvero lungo la rotta del Brennero.
Tale via, già allora una delle più frequentate, costituiva l’asse centrale nord-sud attraverso l’Europa. Il transito su queste strade medioevali era un tema trattato anche da Walther, come ad esempio in questa sorta di preghiera del mattino.
Mit sælden müeze ich hiute ûf stên, got hêrre, in dîner huote gên und rîten, swar ich in dem lande kêre.
Con una benedizione possa io svegliarmi oggi; Signore Iddio, possa io camminare e cavalcare sotto la tua protezione in qualunque luogo io vada.
Camminare, cavalcare, viaggiare: nel Medioevo, coloro che da nord di muovevano in direzione di Roma attraversavano il valico del Brennero, il più basso della catena alpina. Presso Ponte Gardena, tutti i viaggiatori, commercianti, ministeriali, ecclesiastici di alto rango e addirittura gli imperatori dovevano spostarsi sull’altra sponda dell’Isarco, ed ecco perché la località rivestiva un significato particolare. A favore della notorietà della zona parla il fatto che, nell’Alto Medioevo, proprietari terrieri ecclesiastici quali i principati vescovili di Augusta, di Freising e di Bressanone, l’abbazia di Novacella e quella di Tegernsee, annoverano possedimenti a Laion.
I pascoli di uccelli, ubicati in modo eccellente a Laion e dintorni, erano ampiamente conosciuti. Il vescovo Wolfger von Passau stesso, che viaggiava molto, doveva sapere a quale località si riferisse il nomignolo di Walther. Quest’ultimo, senza un soldo, si era probabilmente appropriato del geniale appellativo quando aveva intrapreso la strada di cantore. In tal senso, il nome appare una chiara indicazione di origine, non una trovata di marketing, ma un’attribuzione geografica probabilmente incontestabile.
Stazione 5
Il Propaganda
Un letterato dai molti talenti
Walther von der Vogelweide, il più significativo cantore dell’amor cortese nell’Alto Medioevo, non fonda la sua fama solo sul Minnesang: è anche il primo letterato tuttofare della sua epoca. Walther non può o non vuole vivere solo del “canto d’amor cortese”, diventando così, nel corso della sua carriera, anche maestro della cosidetta poesia gnomica, la lirica politica e sociale.
Il motivo che spinge Walther a comporre un repertorio così ampio si spiega anche con la diversità del modello commerciale letterario del Medioevo rispetto a quello odierno. Non essendoci ancora la stampa, la poesia deve, per così dire, essere “comprata” insieme al suo creatore. Il lirico medioevale si guadagna da vivere con gli ingaggi presso le corti principesche dell’impero germanico o, come Walther ricorda:
Die wîle ich weiz drî hove sô lobelîcher manne, sô ist mîn wîn gelesen unde sûset wol mîn pfanne.
Finché conosco tre corti e uomini così gloriosi, la mia uva viene vendemmiata e la mia padella frigge bene.
Alle padelle che friggono ci pensano i principi: i Minnesänger vengono accolti per periodi più o meno lunghi e, in cambio, intrattengono i padroni di casa e i loro ospiti. Avere un cantore dell’amor cortese a corte rientra evidentemente nel bon ton della società medioevale.
La carriera di Walther inizia alla corte di Federico I di Babenberg a Klosterneuburg, presso Vienna: il duca vuole fortemente il giovane artista. Tuttavia, alla morte di Federico, il cantore, quasi trentenne, è costretto a cercarsi un nuovo mecenate e ne trova uno tanto eminente quanto finanziariamente solido, Filippo di Svevia, pretendente al trono reale sulla linea degli Staufer e quindi rivale di Ottone von Braunschweig di fazione guelfa. All’epoca risale anche la sua poesia più famosa, il cosiddetto primo “componimento sull’Impero:
Ich saz ûf eime steine und dahte bein mit beine, dar ûf satzt ich den ellenbogen; ich hete in mîne hant gesmogen daz kinne und ein mîn wange. dô dâhte ich mir vil ange, wie man zer werlte solte leben
Sedevo su di un masso con le gambe accavallate. Su una gamba appoggiai un gomito. Sulla mano avevo posato il mento e una guancia. Così riflettei molto intensamente su come si debba vivere a questo mondo.
Questioni filosofiche, lirica amorosa, Minnesang: con tutto ciò, il cantore di Laion si è guadagnato il pane sino a questo momento. Le richieste di Filippo, tuttavia, sono completamente diverse: a lui non serve un romantico, ma un propagandista brutale, che sappia convincere gli altri principi dei benefici della sua nomina. E lo straordinario talento di Walther capita a proposito: già maestro dei Minnesänger, il cantore affronta la sfida della poesia gnomica.
Ideologicamente, Walther si dimostra incredibilmente flessibile. Per Filippo di Svevia, si fa portavoce della politica imperiale degli Staufer, ma dopo l’assassinio del pretendente al trono, nel 1208, passa alla concorrenza: il guelfo Ottone IV. Quest’ultimo, nel 1209, viene incoronato re e Walther si ritrova nuovamente dalla parte del potere, anche se non per molto. Il cantore, infatti, si fa beffe dell’avarizia di Ottone e le vie dell’imperatore e del suo propagandista si separano.
Ein vater lêrte wîlent sînen sun alsô, ›sun, diene manne bœstem, daz dir manne beste lône.‹ hêr Otte, ich binz der sun, ir sît der bœste man, wand ich sô rehte bœsen hêrren nie gewan: hêr künec, sît irz der beste, sît iu got des lônes gan.
Un padre diede al figlio il seguente consiglio: “Figlio, servi il più avaro degli uomini, affinché il migliore ti ricompensi.” Signor Ottone, io sono il figlio, voi siete il più avaro degli uomini. Un uomo così taccagno non l’avevo mai conosciuto. Signor imperatore, siate il migliore, perché Dio vi ha garantito lo strumento per compensare!
Walther è infuriato con Ottone, che non gli concede alcun feudo, garanzia di certezze finanziarie, di una vecchiaia tranquilla e dell’abbandono di una vita irrequieta. Ecco perché Walther persegue tale obiettivo con tutte le sue forze, senza mostrare timore nel cambiare nuovamente fazione e diventare un propagandista al servizio dell’imperatore Federico II. La nuova svolta lo premia: Walther ottiene il suo feudo e i conti finalmente tornano.
Ma se Walther cambia spesso padrone, a un aspetto resta fedele, ponendosi sempre dalla parte dei laici nella lotta contro il potere spirituale: quando l’imperatore o il re di turno prende posizione contro il Papa, Walther è al suo fianco, senza timore di mettere malignità in bocca al pontefice:
er giht ›ich hân zwên Allamân undr eine krône brâht, daz siz rîche sulen stœren unde wasten. ie dar under füllen wir die kasten: ich hâns an mînen stoc gement, ir guot ist allez mîn: ir tiuschez silber vert in mînen welschen schrîn. ir pfaffen, ezzent hüenr und trinkent wîn, unde lânt die tiutschen leien magern unde vasten.
Egli dice: “Ho messo due alemanni sotto una corona, affinché devastassero e sconvolgessero l’impero. Nel frattempo, riempiamo i forzieri. Li ho spinti a versar tributo, tutto quello che hanno è mio. Il loro argento tedesco arriva nel mio armadio italiano. Voi preti, mangiate galline e bevete vino, lasciando i laici germanici a digiuno e ridotti pelle e ossa”.
L’atteggiamento ostile nei confronti del Papa è molto diffuso tra i poeti dell’epoca, probabilmente anche per una questione di sopravvivenza economica. Dopotutto, la corona del committente e il benessere terreno, anche per Walther, sono più importanti della promessa della vita eterna.
Stazione 6
Vita di corte
Walther, il professionista
Ir sult sprechen „willekomen“: der iu maere bringet, daz bin ich. Allez das ir habt vernomen, daz ist gar ein wint: nû frâget mich. Ich wil aber miete: wirt mîn lôn iht guot, ich gesage iu lîhte daz iu sanfte tuot. Seht waz man mir êren biete.
Datemi il benvenuto, perché sono io a portarvi le novità. Tutto ciò che avete udito sino ad ora non è nulla: ora però domandatemi! Certo, chiederò una ricompensa. Se è sostanziosa, vi racconterò cose che vi danno gioia. Perciò riflettete bene su ciò che pensate di offrirmi.
Lui stesso non lascia alcun dubbio al proposito: Walther von der Vogelweide era un professionista letterario e non solo perché in grado di padroneggiare l’arte della poesia e del canto. No, Walther era un artista professionista nel vero senso della parola, uno che faceva del canto un mestiere per guadagnarsi da vivere.
Per comprendere appieno questo modello commerciale medioevale, occorre esaminare sotto la lente d’ingrandimento la vita di corte: principi, conti, duchi, insomma la ricca nobiltà, si circondavano di persone in grado di portare un alto livello culturale tra le desolate mura dei castelli. Gli eruditi entravano e uscivano dalle corti principesche e, insieme a loro, anche intrattenitori professionisti come Walther von der Vogelweide.
La sua comparsa sulle scene di corte non aveva solo uno scopo d’intrattenimento, ma anche e soprattutto di promozione dell’immagine del signore di turno, la cui dama veniva cantata in toni aulici dal Minnesänger, erigendo un monumento letterario alle sue virtù.
Frouwe, enlât iuch niht verdriezen mîner rede, ob si gefüege sî. möhte ichs wider iuch geniezen, sô wær ich den besten gerne bî. wizzet daz ir schœne sît: hât ir, als ich mich verwæne, güete bî der wolgetæne, waz danne an iu einer êren lît!
Signora, accettatte le mie parole, se le ritenete decorose. Se potessi essere ricompensato da voi per questo, apparterrei di buon grado ai migliori. Sappiate: siete bella! Avete, e ne sono convinto, anche virtù interiori, oltre alla bellezza, c’è tanto di lodevole in voi!
… e non solo nella signora, ma anche nel signore! Se quest’ultimo voleva essere lodato, perché opportuno in termini politici, Walther interveniva con la sua poesia gnomica. Il cantore di corte era lo status symbol del padrone di casa: migliore era il poeta, più era rispettabile il signore.
Questo modello commerciale porta naturalmente dei vantaggi: quid pro quo. Se lo splendore del Minnesänger e della sua opera si rifletteva sul padrone di casa, questo doveva assicurare ai poeti di corte i mezzi per vivere e qui stava il busillis per Walther che, a torto o a ragione, riteneva di non essere remunerato a sufficienza, considerando il proprio valore costantemente sottostimato in termini monetari.
Così, nelle sue opere fanno continuamente ingresso dei versi che lamentano la taccagneria del mecenate, senza riguardo alcuno per la nobiltà e la classe sociale. Walther se la prende, letteralmente, con l’imperatore Ottone IV, che non si dimostra particolarmente generoso quando si tratta del suo onorario.
vil schiere maz ich abe den lîp nâch sîner êre: dô wart er vil gar ze kurz als ein verschrôten werc, miltes muotes minre vil dan ein getwerc; und ist doch von den jâren daz er niht enwahset mêre.
Lo misuro ancora una volta, usando la stima come metro di misura: sarebbe troppo corto, come una stoffa tagliata malamente, in generosità, più piccolo di un nano e ora ha un’età in cui non cresce più.
Le ambizioni salariali di Walther sembrano ampiamente divergere da quanto corrispostogli, tanto da portare alla rottura con Ottone. Almeno così pare, se s’interpreta il verso di Walther nel cosiddetto Ottenton. O nasconde qualcos’altro? Una rottura politica forse? In questo caso la condanna pubblica dell’avarizia di Ottone sarebbe solo un pretesto per screditare un avversario politico.
Stazione 7
Il Vogelweide
Il Walther politico
Mandare gli uccelli al pascolo, di primo acchito, non sembra avere molto senso, a meno che non si tratti di una caccia agli uccelli. Per allevarli e addestrarli, nel Medioevo, erano previste delle aree dette “pascoli degli uccelli”: assai comuni all’epoca di Walther, scomparvero con l’avvento della falconeria.
La falconeria è una pratica venatoria basata sull’uso di uccelli rapaci, in particolare falchi e sparvieri, addestrati a catturare pollame e selvaggina da pelo di piccola taglia. Gli uccelli, quindi, erano preda e strumento di caccia al tempo stesso. La falconeria non era però uno sport popolare, ma era finalizzata al divertimento della società cavalleresca di rango elevato, a beneficio anche di qualche imperatore. Federico II di Hohenstaufen, ad esempio, non era solo “sponsor” di Walther ed emblema di un regnante dai molteplici interessi, ma addirittura uno straordinario esperto di falconeria. La sua opera “De arte venandi cum avibus”, dedicata all’arte di cacciare con gli uccelli, è un trattato apprezzato dai falconieri di tutto il mondo fino all’epoca moderna.
Gli uccelli sembrano però aver svolto un ruolo importante non solo nel mondo cavalleresco: anche la poesia ha riservato loro un posto speciale, elevandoli a cantori della natura e amici dei menestrelli. In particolare, la lirica attribuiva al falco una simbologia particolare, trasformandolo nella figura allegorica della persona amata. Der von Kürenberg scrive:
Ich zôch mir einen valken mêre danne ein jâr. dô ich in gezamete als ich in wolte hân und ich im sîn gevidere mit golde wol bewant, er huop sich ûf vil hôhe und floug in anderiu lant. Sît sach ich den valken schône fliegen: er fuorte an sînem fuoze sîdine riemen, und was im sîn gevidere alrôt guldîn. got sende si zesamene die gerne geliep wellen sîn!
Allevavo un falco già da un anno. Una volta addomesticato, esattamente come volevo io, e avvolto il suo piumaggio in nastri dorati, si levava molto in alto e volava verso altri lidi. Da allora lo vedevo volteggiare maestoso. A una zampa pendevano delle strisce di seta, mentre le sue piume brillavano tutt’intorno di un rosso dorato. Iddio riunisca coloro che desiderano essere amati.
Nel corso del tempo, non sono solo i pascoli per uccelli a essere finiti nel dimenticatoio: anche la letteratura medievale è caduta in un sonno durato secoli, da cui si è risvegliata solo nell’Ottocento, grazie all’influsso del Romanticismo, insieme al ritrovato interesse per il Medioevo. La passione per le vicende di quell’epoca trova la sua massima espressione nella celebrazione della cavalleria e nella creazione di un nuovo spazio d’identificazione, mentre l’entusiasmo nazionalistico per il passato favorisce la ricerca storica.
Entrambi gli aspetti, l’entusiasmo nazionalistico e l’interesse per il Medioevo, hanno contribuito alla riscoperta dei “pascoli per uccelli” a Novale nel 1867. Questa rivelazione non ha rivestito importanza solo dal punto di vista della ricerca storica, ma ha gettato anche benzina sul fuoco del nazionalismo ardente: Walther von der Vogelweide, il cantore tedesco per eccellenza, un vero (sud)tirolese! Non per nulla stiamo parlando di un uomo, il cui monumento abbellisce il “salotto” buono di Bolzano dal 1889, con la posa maestosa e lo sguardo rivolto a sud, verso il confine linguistico. In occasione dell’inaugurazione del monumento, è stata appositamente composta una poesia:
Ein Standbild, umlodert von Fackelschein, Erglänzt in die südliche Nacht hinein, Es flattern im Winde die Fahnen. — Das deutsche Volk aus deutschem Tirol, Es strömt herbei so freudenvoll, Zu ehren den singenden Ahnen.
“Salute a te, nobile e sommo poeta!”, si ode rieccheggiare nel bosco e nei campi. Le rocce risuonano ancora. “Sei sempre stato nei nostri pensieri, ti pensiamo oggi e ti penseremo nella gioia e nel dolore! Tu, cantore dei canti più teutonici!”
Incolpevolmente, Walther assurge così a emblema politico e simbolo della cultura tedesca dell’Alto Adige che, dopo l’annessione da parte dell’Italia, nel 1919, acquista un ulteriore significato. Eppure, la sua politicizzazione non ha certamente avvalorato l’attendibilità della tesi di Laion rispetto ai natali di Walther, eccessivamente caricata di interessi nazionalistici.
Oggi ci si è finalmente liberati da questo fardello, anche perché sono molti i fatti che parlano a favore di Novale quale suo luogo di nascita. Ciò si ripercuote anche sulla popolarità del maso Vogelweider, i cui libri degli ospiti traboccano di commenti dei suoi seguaci. I “pascoli di uccelli” continuano così ad avere un peso, anche se completamente diverso da quello dei tempi di Walther.
Stazione 8
La fine
Un ribelle e il suo lascito
wol vierzec jâr hab ich gesungen oder mê von minnen und als iemen sol. dô was ichs mit den andern geil: nu enwirt mirs niht, ez wirt iu gar. mîn minnesanc der diene iu dar, und iuwer hulde sî mîn teil.
Per ben 40 anni, o forse più, ho cantato l’amore e come bisognerebbe vivere. Allora, ne gioivo con gli altri. Ora non ho più nulla di tutto questo, ma torna utile solo a voi. Che possano le mie canzoni d’amore continuare a esservi utili e che la vostra benevolenza sia la mia ricompensa!
Walther von der Vogelweide ci ha lasciato un’opera letteraria straordinaria, che non ha eguali tra i suoi contemporanei, sia in termini quantitativi che qualitativi.
500 strofe, 90 canzoni, 150 poesie sentenziose e una canzone religiosa: sono queste le cifre che riassumono, in termini puramente quantitativi, la sua quarantennale opera in veste di Minnesänger professionista e propagandista di professione.
Ancor più interessante delle cifre nude e crude, è l’analisi qualitativa dell’opera di Walther. Gli illustratori dei manoscritti hanno rappresentato il re dei Minnesänger in modo innocente e forse la maggior parte dei suoi versi, per i lettori odierni, è davvera innocua. Ma Walther era tutt’altro che inoffensivo e omologato, era un ribelle letterario, che ha scandagliato e oltrepassato i limiti, cercando addirittura lo scontro con il Papa.
Uno di questi limiti è quello tra il Minnesang e la lirica politica. Prima di Walther von der Vogelweide non c’è stato nessuno che abbia padroneggiato entrambi alla stessa maniera. E ancor più rimarchevole è il fatto che, a un certo punto, il Minnesang di Walther si allontani dall’adulazione altamente ritualizzata delle nobili dame, che poco aveva a che fare con l’affetto sincero, quanto piuttosto con un servizio pagato. Questo “alto amor cortese” è il mestiere che dà da vivere a Walther, il primo a non temere però gli abissi del “basso amor cortese”. E così, egli canta di ragazze semplici, non per adularle, ma per conquistarle.
Ich kam gegangen zuo der ouwe: dô was mîn friedel komen ê. dâ wart ich enpfangen, hêre frouwe, daz ich bin sælic iemer mê. kuster mich? wol tûsentstunt: tandaradei, seht wie rôt mir ist der munt.
Sono andata sui prati, il mio amato era giunto lì poco prima. Lì sono stata accolta, Madre di Dio! E per sempre ne sarò lieta. Mi baciò? Migliaia di volte: tandaradei, vedete, come è rossa la mia bocca.
Walther, con questa iniziativa, insolente per l’epoca, non solo si è fatto degli amici, ma ha anche spianato la strada alla lirica amorosa, come oggi la conosciamo.
Quanto profonda è la traccia lasciata da Walther von der Vogelweide nella storia della letteratura germanica, tanto sono scarse le informazioni sulla sua vita e la sua morte, quest’ultima collocabile tra il 1227 e il 1230. Al 1227 risale anche la chiamata alla crociata dell’imperatore Federico II della dinastia degli Staufer, il cui epilogo Walther probabilmente non ha mai vissuto, non essendo citato nella sua opera poetica.
Al pari dell’anno, anche il luogo della morte di Walther resta un mistero. Alcuni indizi suggeriscono Würzburg, ma non ci sono attestazioni certe e non è dato sapere neppure il luogo della sua sepoltura. Indiscusso resta solo il suo lascito letterario. Almeno quello …
Owê war sint verswunden alliu mîniu jâr! ist mir mîn leben getroumet, oder ist ez wâr? daz ich je wânde ez wære, was daz allez iht? dar nâch hân ich geslâfen und enweiz es niht. nû bin ich erwachet, und ist mir unbekant daz mir hie vor was kündic als mîn ander hant. liut unde lant, dâr inn ich von kinde bin erzogen, die sint mir worden frömde reht als ez sî gelogen
Ahimè, dove sono finiti tutti i miei anni? La mia vita l’ho solo sognata o l’ho vissuta davvero? Quello in cui credevo era veramente realtà, è stato proprio così? Allora ho davvero dormito e non lo so. Ma ora mi sono svegliato e mi appare sconosciuto tutto ciò che conoscevo come le mie tasche. Le persone e la terra dove sono cresciuto mi sono diventati così estranei al punto che sembra non siano mai stati veri.
Februar 2017 / chr